NewsValdo Spini, Presidente AICI – Relazione. Trieste 22 settembre 2017

Valdo Spini, Presidente AICI – Relazione. Trieste 22 settembre 2017

CHI SIAMO

 
Apriamo con grande soddisfazione la nostra IV conferenza nazionale “Italia è cultura” nella città di Trieste. Abbiamo accolto la proposta dell’assessore regionale alla cultura Gianni Torrenti, sempre intervenuto alle nostre iniziative nella sua veste di coordinatore degli assessori regionali del settore. Abbiamo potuto organizzare questa conferenza insieme al Ministero per i Beni Culturali e Ambientali (Mibact) e alla Regione Friuli-Venezia Giulia, che ringraziamo per il loro contributo, realizzando così una significativa convergenza tra soggetti culturali e soggetti istituzionali.
 
Dopo Torino al Nord (Nord Ovest) nel 2014, Conversano (Bari) al Sud nel 2015, Lucca al centro nel 2016, ritorniamo così al Nord, questa volta al Nord Est, in una regione-ponte verso l’Europa come il Friuli Venezia Giulia, in una città, Trieste, così significativa per l’Italia e così piena di fascino per tutta l’Europa. Grazie a Debora Serracchiani di ospitarci in questo prestigioso Palazzo in una Piazza densa di storia, come Piazza dell’Unità d’Italia.
 
Il concetto che ci ha guidato è quello dell’articolazione sul territorio delle nostre iniziative, in collaborazione con le istituzioni locali, culturali, amministrative e fondazioni bancarie che ci hanno via via ospitato e sostenuto.
La nostra associazione riunisce centodue soci tra Istituti, Fondazioni, Associazioni, Accademie. Vi sono accademie plurisecolari, istituti e fondazioni che rappresentano le culture politiche della Repubblica in un ampio quadro pluralistico, fondazioni di cultura musicale, fondazioni di tutela e valorizzazione di beni culturali, fondazioni di carattere scientifico, fondazioni di cultura e di storia di impresa, e tante altre che sono descritte nelle nostre pubblicazioni e sul nostro sito www.aici.it. Cosa unisce allora una gamma così ampia e così differenziata di soggetti? Una parola molto semplice: la cultura.
 
Negli anni scorsi, abbiamo dovuto difendere la sopravvivenza stessa dei nostri istituti, colpiti da tagli drammatici nei contributi pubblici, compiuti all’insegna de “La cultura non si mangia”. Per questo con la prima Conferenza di Torino abbiamo dovuto dimostrare tutta l’importanza del contributo che potevamo dare alla vita culturale del paese. Ma, dopo l’incontro dell’ottobre 2015 col ministro Franceschini, succeduto alla nostra seconda Conferenza di Conversano, molte cose sono cambiate col Mibact e ne diamo volentieri atto al Ministro, qui rappresentato dal sottosegretario on. le Antimo Cesaro che ringraziamo per la sua presenza. Lo stanziamento per la tabella triennale 2015-2017 è tornato al livello pre-crisi, anzi con un piccolo aumento. Quanto allo stanziamento per i contributi annuali che era stato prima azzerato, poi ridotto ai minimi termini, si è assistito nel 2016 ad un incremento di più del 700 %, con una effettiva velocizzazione dei tempi di decisione e di conferimento: elemento determinante nella vita dei nostri istituti. È infatti in corso la corresponsione dei contributi annuali 2017. Ringraziamo la Direzione Generale delle Biblioteche e degli istituti culturali, il Direttore, dr.ssa Rossana Rummo e il dr. Nicola Macrì e tutti i loro collaboratori. Relativamente alla prossima tabella triennale, 2018-2020, nel disegno di legge di formazione del bilancio di previsione risultano mantenuti i medesimi stanziamenti dei precedenti anni 2016-2017. Inoltre nuove circolari ministeriali hanno dettato criteri di assegnazione più chiari anche in ottemperanza alle indicazioni delle commissioni parlamentari, tuttavia questo è un tema che avrebbe bisogno di una riconsiderazione complessiva ed organica per la quale peraltro siamo disponibili.
 
Purtroppo non altrettanto è avvenuto col MIUR. L’attribuzione della prima annualità della tabella 2014-2016 agli assegnatari, cioè i contributi relativi all’anno 2014, è avvenuta solo nel 2017, con la complicazione che i fondi erano andati in perenzione e che bisogna recuperarli. È vero che nel frattempo si potrà provvedere -pare- a corrispondere gli anticipi relativi al 2015, ma tutto questo collide con le necessità di programmazione delle attività degli Istituti e Fondazioni che erano entrati in quella tabella triennale. Uno stato di cose veramente difficile. Confidiamo in tal senso nell’azione che potrà svolgere la on. le Flavia Piccoli Nardelli presidente della competente commissione della Camera dei deputati.
 
Ma, sia chiaro: l’Aici non è una lobby per chiedere soldi allo Stato, né tantomeno rappresenta istituzioni polverose e rivolte al passato. Siamo portatori di cultura. Intorno alle nostre attività si raccolgono importanti e vivaci energie di volontariato intellettuale. Con le nostre conferenze nazionali abbiamo consolidato la nostra associazione e spiegato all’opinione pubblica chi siamo. Tutti insieme costituiamo, noi stessi un soggetto culturale.  Siamo – lo vogliamo sottolineare– un pezzo importante della società civile italiana, capace di irrobustirne una struttura che appare oggi per troppi versi disarticolata.
 
Siamo orgogliosi che l’Italiano, base della nostra cultura, sia la quarta lingua studiata nel mondo, come ben ci ha ricordato il Presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini nella prolusione che abbiamo organizzato con successo al Senato il 20 aprile u.s. Tale fatto ha positive ricadute sulla vita non solo culturale, ma economica e sociale del nostro paese.
 
E non è un caso quindi che si parli di ius culturae , cioè del diritto di cittadinanza conferito dalla condivisione di una cultura di un determinato paese, nel nostro caso l’Italia.
 

IL DOVERE DELLA CULTURA: LA SUA BELLEZZA.

 
L’Aici costituisce un momento di collaborazione importante per le nostre autonome e differenziate Istituzioni nel rendere un servizio: quello di elevare il dibattito culturale e di trasmetterlo alle giovani e ai giovani del nostro paese. Un servizio che abbiamo il dovere di svolgere.
 
Abbiamo questo dovere in un momento di crisi della comprensione  dei fenomeni nuovi che travagliano il mondo, dagli effetti non previsti della globalizzazione, (conseguenti anche alla crisi prima finanziaria e poi economica che ci ha colpito nel 2007-2008) , ai cambiamenti climatici, ai fenomeni migratori globali che hanno quest’anno interessato in particolare l’Italia, ai cambiamenti tecnologici in atto o prevedibili, fino ai problemi drammatici del terrorismo e della violenza diffusa, che si acutizza in particolare sulle donne. A fronte di tutto questo vi è un grande bisogno di riflessione intellettuale, di diffusione delle conoscenze, di progettazione e di innovazione. È stato detto: “La bellezza salverà il mondo”, ma forse è più appropriato dire: “la bellezza della cultura salverà il mondo”, se è vero che molti di questi fenomeni non possono essere che affrontati strutturalmente sul piano della conoscenza.
 
La cultura non è solo autocompiacimento. È battaglia, è battaglia di condivisione e di inclusione; è abbattimento delle barriere che impediscono la conoscenza e la comprensione reciproca nella laicità e nella libertà dell’approccio a questi problemi per l’affermazione dei diritti umani e dei diritti civili. È la battaglia per legare insieme gli obiettivi della giustizia e della libertà. È assunzione di responsabilità di noi tutti insieme e di ciascuno di noi singolarmente nei confronti dei problemi planetari dell’ambiente che abbiamo di fronte.
 
L’anno scorso abbiamo parlato della “società liquida “analizzata da Zygmunt Bauman, con i problemi ma anche le potenzialità che comportava. Ma oggi vari autori, ce lo ricordava Roberto Esposito, vedono segnali in senso contrario, cioè del risorgere di barriere, di esclusioni, che si solidificano. In tal senso saremmo in un periodo di transizione tra vecchi equilibri che sono caduti e nuovi che non si sono ancora affermati e che dobbiamo assolutamente cercare di indirizzare verso esiti positivi. In tale quadro, ci proponiamo nel nostro ambito proprio di concorrere a riannodare il tessuto delle relazioni culturali non all’insegna della nostalgia del passato, ma all’insegna della conoscenza e dell’interpretazione del nuovo indispensabile per affrontare questa fase di transizione. Consapevoli come siamo che non si può analizzare il presente senza conoscere le sue radici storiche e quindi delle determinanti non solo strutturali, ma ideali e politiche delle vicende che stiamo attraversando.
 
Abbiamo affrontato nelle nostre conferenze e continueremo a farlo in questa, il tema della rete e delle profonde novità e delle potenzialità che comporta per le nostre Fondazioni e istituti. Lo vogliamo sottolineare perché le nostre tradizionali attività di conferenze, di biblioteche, di archivi, sono profondamente influenzate da questa nuova realtà.
 

ITALIA ED EUROPA

 
Un capitolo molto importante dei mutamenti in atto riguarda il ruolo dell’Europa, le sue difficoltà attuali, le modalità e le prospettive di una possibile ripresa dell’Unione Europea. Tutte le nostre conferenze nazionali hanno lo stesso titolo “Italia è cultura” sia per ribadire con forza questo assioma nel nostro paese sia per testimoniare di un filo unitario del nostro discorso. La conferenza di Trieste vuole fare un ulteriore passo avanti, ed ha come sottotitolo “La cultura e l’identità europea”, in altre parole, vuole proporre la cultura italiana come vettore di una verifica identitaria, anche in questo momento di crisi e di difficoltà politiche.
 
Trieste è la sede giusta per fare questo, per il suo significato nella storia d’Italia e nella storia d’Europa. L’irlandese James Joyce ebbe a scrivere: “La mia anima è a Trieste” a significare la forza di attrattiva esercitata dal crogiolo culturale di questa città, di questo territorio. Cambiando totalmente soggetto, ricordo che a Trieste troverete un museo, dedicato ad un personaggio dell’economia, Giacomo Revoltella, che fu uno degli artefici dell’impresa del canale di Suez. Forse un riferimento simbolico di quello che diciamo oggi, Trieste non solo ponte ovest-est ma anche nord-sud-
 
In questo particolare momento la conferenza di Trieste vuole rappresentare il contributo di quella parte della cultura italiana che si riferisce alle nostre Fondazioni e ai nostri istituti al dibattito in corso sull’Europa e sul suo futuro. Vogliamo rilanciare queste idee da una regione come il Friuli Venezia Giulia, un tempo regione di frontiera, difficile, tormentata, oggi regione ponte verso l’Europa.
 
Vogliamo affrontare il tema della cultura italiana a tutto tondo nel contesto europeo. D’altro canto, non esiste una identità europea senza una cultura europea. Ma questa cultura europea che abbraccia un continente dal Baltico al Mediterraneo, esiste davvero? È quanto cercheremo di discutere in questi giorni, convinti come siamo, che una comunità di interessi è fragile se non ha fondamenti culturali condivisi soprattutto in un momento in cui le pressioni della globalizzazione tendono a manifestarsi e ad esplodere nella divisione tra quei ceti sociali e quelle aree che si sentono incluse e quelle che si sentono escluse o addirittura minacciate, dal processo di globalizzazione stesso. Un processo che si sta ripercuotendo in tutta l’Europa.
 
IN tale contesto si colloca il tema, di scottante attualità, delle migrazioni, un tema che ci divide da alcune delle nazioni con le quali proprio l’Italia lanciò quell’Iniziativa Centro-Europea che ha per l’appunto – va sottolineato- la sua sede a Trieste. È un segnale preoccupante di crisi della costruzione europea. D’altro canto il tema delle migrazioni ha, volenti o nolenti, riattivato l’attenzione sull’Africa e quindi sul Mediterraneo. Ne fanno testo i recenti vertici di Parigi e quelli europei. E questo è un segnale nella direzione di un’Europa che si occupi del Mediterraneo e non se ne astragga. È una necessità storica.
 

LA CULTURA E L’ITALIA

 
La cultura è un dovere e lo dobbiamo sentire in particolare in Italia, certo per le vicende geopolitiche globali in cui ci troviamo, ma soprattutto per un fatto molto specifico e che riguarda i giovani. Ci sono sì, sintomi di ripresa nell’economia, ma siamo di fronte ad una disoccupazione giovanile massiccia che costituisce un inaccettabile impoverimento strutturale per il nostro paese, che si aggiunge a quella delle vecchie e nuove povertà.
Il punto è come possiamo reagire all’impoverimento strutturale causato da quell’ampia massa di giovani che viene compresa nel termine Neet (Not Engaged in Employment, Education or Training). Il ministro dell’economia ha annunciato che nell’utilizzo delle risorse sarà data la priorità agli incentivi fiscali per l’occupazione giovanile. Ma è evidente che per offrire ai giovani oggi in Italia delle occupazioni qualificate nonché per richiamare i giovani oggi all’estero occorrono grandi investimenti nei settori della cultura, della ricerca e della formazione all’insegna dell’innovazione e della creatività.
 
Riteniamo che la cultura rappresenti il volano di quella ripresa civile, politica e istituzionale, e quindi economica e sociale di cui l’Italia ha profondo bisogno anche per esercitare con più autorevolezza il suo ruolo in Europa.
 
Proprio il ritmo incessante delle trasformazioni tecnologiche in atto obbliga a produrre più cultura. Infatti, l’innovazione può rendere di colpo obsoleti taluni mestieri, ma proprio un vasto retroterra sia scientifico che culturale, può consentire sia ai giovani che all’altra fascia sociale delicata, quella dei disoccupati cinquantenni, di presentarsi o di ripresentarsi sul mercato del lavoro.
 
E tuttavia lo sviluppo della cultura è condizione necessaria ma non sufficiente, perché tante e differenziate sono le azioni da intraprendere nei vari campi evocati, e tuttavia resta il presupposto necessario sia dal punto di vista della diffusione delle conoscenze sia dal punto di vista della coscienza di sé.
 
Cultura vuol dire trasmissione del passato al presente, non solo per aiutarci a comprenderlo meglio, e permetterci di progettare il futuro a livello individuale e collettivo. È stimolo all’invenzione e alla capacità creativa.
 
Cultura significa uscire dalla logica del contingente e del compiacimento del successo immediato per affermare la logica della riflessione e dell’analisi che conduce all’azione strutturale, meditata e di lungo periodo. È la volontà di mettersi in grado di affrontare per tempo i mutamenti in atto, e non di rincorrere rimedi parziali quando i fenomeni sono già in atto e difficilmente controllabili o reversibili.
 

CULTURA SIGNIFICA AVER CURA DEI NOSTRI GIOVANI

 
Abbiamo voluto mettere a disposizione dei nostri soci, delle borse di partecipazione alla nostra conferenza riservate a giovani dirigenti dei nostri istituti under 35. Un’iniziativa cui teniamo molto per sviluppare l’innovazione nel nostro stesso mondo, quello delle fondazioni e istituti culturali. Oltre che formare i giovani, come in vario modo si sta facendo anche con i provvedimenti per l’alternanza scuola-lavoro, stages, tirocini e quant’altro, si potrebbe dare occupazione, un’occupazione qualificata. Ma queste azioni avrebbero bisogno di una propria definizione contrattuale, perché oggi si fatica a inserirsi tra la fattispecie contrattuali del commercio o quello di Federculture che rappresenta il mondo delle imprese culturali. È un’esigenza sollevata dall’Istituto Gramsci dell’Emilia Romagna, è un’iniziativa cui sollecitiamo chi può agire in proposito. Ne parleremo nel corso dei nostri lavori.
 
Ma vorrei formulare, a titolo questa volta personale, una proposta specifica per l’immediato. Utilizzare i giovani per un programma di alfabetizzazione informatica del nostro paese. Un’alfabetizzazione che potrebbe non solo riguardare gli anziani nei loro rapporti con la PA e i servizi, ma la stessa PA, gli immigrati, in generale le fasce deboli della popolazione, perché, ancora una volta, condivisione dei saperi significa integrazione sociale.
 
Certo sarebbe un programma oneroso, ma costituirebbe un investimento utile perché avrebbe una conseguenza economica positiva: innalzare il livello di produttività generale del sistema-paese tramite un accesso più esteso della popolazione italiana alle tecnologie informatiche e nel contempo coinvolgere un’importante area di giovani nel lavoro, togliendoli dall’inedia, dando loro reddito, e, non ultimo, dando loro la possibilità di accumulare capacità pensionistica.
 
È il livello di produttività generale del lavoro del nostro paese, comparato con quello della Germania per esempio, che deve preoccuparci e spingerci ad un’azione del genere.
 
Negli anni ’50 vi era una massiccia disoccupazione dei capi famiglia. Ebbene allora Giorgio La Pira, Sindaco di Firenze mandò i disoccupati a sistemare le sponde del Mugnone. Un’applicazione pratica delle teorie di Keynes.
 
Oggi un’azione sociale contro la disoccupazione, dovrebbe riguardare in particolare il campo dei giovani qualificati ed a loro offrire un’occasione all’altezza delle loro aspettative.
 
Pensiamo a quanto spazio vi sarebbe in campo culturale, dopo il blocco del turn over in questi anni di austerità, dagli obiettivi come la catalogazione dei beni culturali (il nostro patrimonio) ad altri dello stesso genere che potrebbero essere conseguiti più velocemente se si aprissero nuove possibilità nel campo della protezione e del recupero del nostro patrimonio culturale e ambientale.
 
Parlando di questi temi il nostro pensiero non può non andare alle aree terremotare alle terribili perdite che hanno subito. Auspichiamo che adeguato spazio venga dato a tali esigenze nel programma di assunzioni annunziato dal Ministero della Funzione pubblica.
 
Molto resta da fare. Come Aici e come istituti dobbiamo intensificare i nostri rapporti con l’Università, sia dal punto di vista della ricerca, sia da quello dei tirocini e dell’alternanza scuola-lavoro. Fondazioni e Istituti possono rappresentare un momento di collaborazione importante in questo campo. Su questo stiamo lavorando fin dal 2014 e le nostre riflessioni sono contenute negli atti delle nostre conferenze annuali.
 

UN PATTO PER LA CULTURA

 
Abbiamo pubblicato nei mesi scorsi gli atti delle conferenze di Conversano 2015 e Lucca 2016, che si legano a quelli della prima conferenza di Torino 2014, che è stata la nostra pietra miliare in questo cammino. Vogliamo così dare una continuità alla nostra riflessione, in modo da coinvolgere fasce sempre più ampie del nostro paese. Riprendendo quanto veniva detto a Lucca, vi sono due impegni che dobbiamo portare avanti.
 
La prima riguarda l’anno europeo per il patrimonio culturale indetto nel 2018. Un tema che si rifletterà anche sul programma della prossima conferenza dell’Aici. Esiste, per la partecipazione italiana all’anno europeo del patrimonio, una struttura in proposito del Mibact. Sono sicuro che molti dei nostri soci sono interessati a partecipare a questa iniziativa, su cui occorre incontrarci e definire gli ambiti di comune responsabilità.
 
La seconda è la proposta che formulò l’anno scorso, nella conferenza di Lucca, il direttore generale, dr Rossana Rummo, quella di un Patto per la cultura, che coinvolga, con gli istituti culturali, i ministeri interessati, le Università, i nuovi media, gli enti territoriali, fissando parametri obiettivi, metodi di un grande sviluppo della cultura italiana in rete e in sinergia reciproca. Dobbiamo in tempi brevi arrivare ad una stesura di una bozza da proporre ai soggetti da coinvolgere. Potrebbe anche costituire un momento positivo di orientamento per la stessa prossima legislatura.
 
Trieste si pone allora in qualche modo come paradigma ed auspicio per i lavori di questa nostra conferenza.
 
Ha scritto Claudio Magris (qui)” …si gode un amabile piacere di vivere, si ha la sensazione che tutto debba ancora incominciare, che la vita debba ancora venire. Il fascino del non tempo triestino, del suo mosaico eterogeneo e sconnesso è questa promessa sempre rimandata e differita.”
 
Perché quindi paradigma ed auspicio? Perché il mosaico sconnesso può stare a significare che i problemi si presentano oggi in modo frammentato ed eterogeneo, in cui la promessa appare come una proiezione consapevole, legata ad un nuovo inizio che non può più essere rimandato e differito.
 
Bene, nell’iniziare i nostri lavori, oggi, noi vogliamo qui assumere questa promessa e farla nostra.